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Scrittura e Depressione

10.12.2022
Scrivo spesso, questa è ormai un'abitudine. E persevero nella frusta delle lettere – con alti e bassi da vertigine – come solo pochi anziani sanno fare nella loro punizione della vita.
Pochi anziani, sopravvivono il loro "momento". Viceversa, le lettere soggiacciono nel mondo, molto oltre le proteine dei loro scrittori.
È questo un male in fin dei conti? Non ci siamo chiesti spesso come raggiungere l'immortalità, e spesso ci siamo risposti che l'essere ricordati è qualcosa di analogo alla vita eterna? Io giammai lo dissi, mai desiderai l'immortalità, neppure a distanza – se possibile peggiore, nella sua versione in DAD. Eppure mi solletica ancora questa strana idea di scrivere, che volentieri abbandonerei, per un più dolce fare nulla, per un lieto vegetare.
Eppure eccolo lì, un foglio abbandonato, un penna poco carica: tutto dice di scrivere, poco in me sa resistergli. Ecco mi ritrovo a vergare ancora lettere, il cui senso è dubbio, ma ci sono. Le lettere, le parole, i libri: hanno presenza fissa nel mio prodotto interno psichico.
Ma optare per la fama di fanatici e seguaci, che mi adorano, che mi scrivono felici di un mio nuovo pubblicare, dire che mi dà la nausea, è solo un eufemismo – in fondo anche banale.
Certo essere riconosciuto, solletica un indubbio benessere narcisistico ed egoico. Ma in fondo cosa frega, a chi per una vita, non ha scritto altro che cosine di dubbio valore artistico, e non le ha neanche fatte leggere, di essere apprezzato? La domanda qui martella: perché scrivere, piuttosto che far nulla?
E tutti hanno risposte, hanno tremende certezze e vacui sogni.
Io questo, posso dire: essere ancora in grado di sognare? Poco importa cosa, poco importa come: È un cosa che i comuni abitanti della terra, in misura del tutto mutevole, magari non eccezionale ma efficace, fanno. Essi desiderano, fosse anche cose piccole, fosse anche di svegliarsi la mattina dopo, fosse anche non morire.
I depressi, chiamiamo pure così coloro i quali vivono d'inerzia e basta – come me. La schiera di non sognatori, non ne sono in grado.
Mi chiede se questa incapacità al sogno, alla tendenza progettuale, al desiderio libero o indirizzato, sia una malattia come dicono. E dentro me e loro si svolga una battaglia millenaria, perché un battesimo del desiderio io vorrei. Un evento trasformativo che mi doni ancora la voglia di dire: sì!
Un evento che però, non sogno. Non desidero in realtà. Meglio mollare. Io tifo per chi perde in partenza, per chi si fascia la testa prima di cadere, ed abbandona.
E mi dicono che questo è tutto frutto di una brutta malattia, che una volta superata, tutto quanto cambierà nella mia visione oscura. Sono disposto a fidarmi? Sono disposto a credere che questo cambiamento trasformerà le mie prospettive? Non lo so. E perché dovrei? Sono disposto a credere che sia una malattia, nel senso più profondo che essa ha, o è solo la mia privata verità, e tutti quanti sbagliano? Essere depressi, è un'esperienza – non voglio dire dono, perché niente è regalato a nessuno, soprattutto qualcosa che comporta del dolore – altrimenti senza pari. Probabilmente mi starete dando dello scemo o del sacrilego, irrispettoso e senza tatto: sì, lo sono.
Ma sono anche un depresso, un autolesionista, un pazzo.
Sono dunque un competente che scandaglia ogni giorno questo fondo senza fondo che a pochi è dato di conoscere. Un luogo sulle mappe sconosciuto alle cartine, che come tutte le avventure dei più fervidi esploratori, non sempre ha un lieto fine, o una spedizione di ritorno.
Eppure c'è qualcosa che la depressione fa capire: "cosa conta".
Oltre gli orpelli e i vizi, oltre gli altri e i noi. Oltre il "tu devi!" solito, oltre anche il fittizio "io voglio!". Oltre la vita, il cosmo, l'universo e tutto quanto ci pone una domanda sola, a cui non puoi rispondere, anche se ci provi. Quello che con questa domanda tragica ci fai, è tuo. Nessuno che non sia passato attraverso questa fase tragica, si è mai posto questa domanda in modo così radicale.
Questa domanda, è luogo e un terreno arido, dove neanche i filosofi e i grandi scienziati hanno voce in capitolo: quando ci provano, si ricoprono solo di ridicolaggine.
Eppure noi, in quanto depressi, in quanto malati di mente eccetera eccetera, ci siamo passati o ancora ci siamo. Sappiamo che può fiorire, ma non ci crediamo.
Qualcuno è riuscito, ci dicono, in tempi lontani a renderlo fertile, l'alternativa è la morte – non in senso eufemistico.
E così mi ritrovo comunque a scrivere righe su righe su righe.
A sporcare questo foglio, che si tinge di cose che non esistevano prima. Semino in quella terra arida, tante piccole lettere.
Io sono padre delle mie parole, allo stesso modo in cui Dio è padre ai credenti, il genitore ai figli.
E io le educo, con perizia e fatica, le coccolo di infinita tenerezza, le porto per mano.
"Non è una vita che voglio, perché non voglio una vita" gli dico. La depressione è l'ora d'aria del desiderio, e io lo so. È normale pensarla così.
Le lettere appuntano e vanno avanti. È il compito dei figli, contraddire fino in fondo, le stesse tesi dei propri genitori.
Se la depressione è proprio l'ora d'aria del desiderio, per alcuni un licenziamento senza appello, per altri solo un coffee break: per me è stato il momento in cui ho capito che la vita non era degna di essere vissuta.
Ma era degna d'esser scritta.


#aforismi

iononquadro

Sono un appasionato di scrittura e di programmazione/hacking. E sono anche un malato psichiatrico. Questo blog è un luogo di sfogo di quello che sono, e costruzione di quello che sarò. Dai un'occhiata in giro, ti piacerà!

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