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Libri A Memoria D'Uomo: Dino Buzzati

23.12.2022
459 giorni fa, volendo proprio fare i pedanti ed i pignoli, per motivi di salute che avrò modo di spiegare con precisione piano piano qui sul blog – ma che i più avranno intuito dagli indizi sparsi a frotte – mi sono dovuto allontanare dalla mia casa di Roma e non vi ho fatto più ritorno, se non con il pensiero. Eppure oggi, torno a percorrere le sue stanze, piccole e strette. Zeppe di cose, non solo di libri: strumenti musicali, vecchi giochi, fumetti, e polvere dalla valenza oramai archeologica, nonché peli del cane scomparso da tempo che torna a galla nonostante le pulizie.
Su tutto, svettano gentili le librerie, piene di romanzi, saggi, libri dalla strana categoria e dischi musicali. La mia memoria è debole e ballerina, certo, ma io sono un po’ un burlone e non mi arrendo all'avanzare dei miei 26 anni d’età. Voglio così ripercorrere la mia libreria a memoria, passando le dita lugno le sue copertine, e dire ciò che la mia mente ne rammenta, senza studio né ricerche.
Questo gioco felice, che talvolta faccio anche nella mia solitudine, quest’oggi, e forse in futuro, sarà condiviso su queste pagine grigie e scarne.
Cominciamo da qui, dunque, a caso: Dino Buzzati - Il Deserto dei Tartari.
Possiedo di questo libro, un’edizione semplice ed economica degli Oscar Mondadori, che mi fu regalata da una persona a me assai cara. Era un periodo duro, al tempo. E leggere per me, una valvola di ossigeno medicale. Mia nonna, da cui andavo a pranzo tutti i giorni, lo sapeva. Mi accoglieva felice nella sua casa, e mi parlava, alle volte, di romanzi che aveva incontrato nella vita, pur non essendo un'esperta lettrice. Un giorno mi donò un libricino: proprio questo, “Il Deserto dei Tartari”. Ne parlammo un po', e mi disse che l’aveva trovato nell’edicola sotto casa. Io preso da questo mistero, mi tuffai e ne fui meravigliato.

Il libro lento, dalle ore scandite, raccontava una storia inconsueta, fatta di pause e di attese. Ricordo il caldo di quell’estate insieme col protagonista, solcando il deserto a cavallo per recarci in una fortezza e lì attendere interminabili ore l’arrivo dei Tartari: il popolo preso a pretesto da Buzzati, per raccontare l’attesa per qualcosa che non arriva mai, ma che potrebbe arrivare anche fra un secondo o fra un'ora.
L'attendere nervoso, teso, palpabile. La preghiera per qualcosa, qualunque cosa, purché succeda.
Appunto di questo narra il libro di Dino Buzzati, di un soldato trasferito in una fortezza nel deserto, in cui deve attendere – di interminabili attese – i Tartari, un esercito nemico e sconosciuto.
Tutto questo a quel tempo mi sembrava uno scherzo letterario, una sofisticata metafora, per quanto bella ed elegante.
Eppure tempo dopo, quegli stessi eventi che mi portarono fuori da casa mi condussero anche in un ospedale di Roma, dalla cui finestra si vedevano i campi e il baluginare di edifici bianchi sullo sfondo. Le interminabili ore, allettato ed immobile, già da sole mi avrebbero fatto pensare a Buzzati, nelle sue prospettive e nelle sue pause ed attese non limitate da niente e nessuno.
Ma essere così profondamente immerso nella noia, mi ha permesso di riflettere. E non nell'ottica banale del "prendersi del tempo per pensare".
L'ospedale, la prigione o qualunque altra forma d'attesa forzata, è sconosciuta a tutti, tranne a chi veramente l'ha esperita. E così Buzzati, è un viaggio in questo: nel carcere delle attese e nella tortura del tempo.
Ne ho parlato anche una volta con un signore che condivideva la stanza, lì con me, in ospedale. Lui non capì cosa intendevo, non era un lettore in fondo, non ne sapeva di Buzzati. Ma soprattutto era appena arrivato lì, in quel deserto dei Tartari. Si domandava che cosa guardassi io, fuori da quella finestra. Se lo domandavano in molti. fra infermieri e pazienti.
Ma come avrei potuto io rispondere, che stavo aspettando i Tartari?
La nostra vita interiore, nei momenti di solitudine e riposo, spesso ma non solo nelle ore estive quando fuori è caldo e dentro quiete, in quei pomeriggi torridi e assolati in cui la notte e qualunque attività sembra un miraggio mistico, diviene silenziosa: il desiderio si allontana dalla sua forma passionale.
Tutto diviene placido, dentro noi. E c’è questo po’ di conforto in quella noia, in quell'attesa, in quel nulla.
L'horror vacui non ci perseguita più, perché c’è il sentire netto e serio, che in fondo siamo vani, che poco o nulla importa. Non si attende per scelta, no, ma c'è in essa un piacere e una tortura, una tortura acconsentita dal carcerato e dal carceriere. E quando si guarda fuori, dalla propria solitudine, ecco: solo un briciolo di miraggio tiene in vita i nostri giorni.
Quel miraggio sono i Tartari, chiunque essi siano per noi.

#libri

iononquadro

Sono un appasionato di scrittura e di programmazione/hacking. E sono anche un malato psichiatrico. Questo blog è un luogo di sfogo di quello che sono, e costruzione di quello che sarò. Dai un'occhiata in giro, ti piacerà!

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