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Smettiamola! (di essere noi stessi)

17.04.2023
“Sai pensavo, l’altro giorno, che dovremmo prenderci una pausa…” È probabile che essa sia una delle voci del decalogo: “Frasi da usare sempre per distruggere una relazione”. E ammesso che essa non sia, forse, già distrutta in maniera implicita, la frase quasi sempre riesce nel suo intento funesto. Eppure quanto poco sono vere queste parole, quando sono usate per indicare la “relazione” con noi stessi. E quanto una pausa da noi può, invece, costruirci… È importante notare che le pause, quasi sempre, si prendono da cose, persone o situazioni. Ma mai, ci si ritira da se stessi, ci si nasconde dalla propria individualità e realtà. Anzi, spesso ci ribadisce la maggioranza: "Sii te stesso. Fai quello che senti e si fedele a te." Molti lo ritengono giusto, considerando l'inverso, il "fuggire" da se stessi, semplicemente una voglia depressiva di rifuggire il “problema io". Di non guardarsi e di volgere l'attenzione da qualcosa di noi stessi che detestiamo. Eppure la faccenda è più intricata e complessa di così. Come lo è sempre. Ossia può esserlo e non esserlo (direbbe Amleto a riguardo)... Ma che cosa vuol dire: “Smettere d’essere se stessi?” (o per dirla alla Carmelo Bene: “Io non voglio più essere me”?). Beh… già che ci sei, caro Carmelo, parliamo anche un po’ di te… Diciamo che Carmelo è il mio fantasma, prima di tutto. Carmelo Bene (l’attore teatrale e il drammaturgo) è stato sin da tempo immemore, la mia immagine narcisistica; il mio specchio. Lui era quello che io volevo essere, e che mi metteva in crisi perché non lo ero. Era il colto, il puntuto e l'arguto. Il seduttivo, l'ambiguo, il sicuro, l'audace, ma soprattutto colui che impersonava il vanto, e lo stile che io bramavo affamato. Carmelo Bene mi metteva alla prova, e quando io riuscivo a sentirmi nelle "sue grazie" ero tronfio, viceversa depresso. Era come uno specchio malato, come malato ero io. Il titolo di questo blog, (ad oggi: Il “Colto” in Fallo) è dovuto proprio a questo. Al fatto banale e non così chiaro che io, devo necessariamente chiudere non con la cultura (che mi piace in maniera sincera), quanto con Carmelo Bene e il suo universo. Quello altisonante, perfetto e narciso. Questo smettere d'essere se stessi, forse l’unica cosa che terrei della mia “ombra”, non è solo però un invito a lasciarsi alle spalle ciò che è vecchio o che non ci piace (nel mio caso Carmelo). È l’invito altresì ad essere capaci di mutare. Senza banalità pseudo-zen o frasi simili-orientali, il cambiamento è il presupposto per la sopravvivenza. O meglio, per la vita stessa. Sono gli ideali, le idee e i concetti (ossia cose che di fatto non esistono nel mondo) ad essere immutabili ed eterne. Le creature e le cose sottostanno ad un mutamento eterno, continuo. Quasi fosse questa l’unica vera costante imprescindibile. E senza citare Eraclito, Nietzsche, o chi per loro, sul divenire eterno e sui personaggi che si immergno nei fiumi e tornano cambiati; vorrei si parlasse maggiormente di adattamento e meno di cose. Più di terra, meno di cielo: e ciò non và neanche contro la religione che ognuno sceglie per sé. Il buon Wittgenstein scriveva nel Tractatus[...] che “Il mondo è la totalità dei fatti e non delle cose”, o anche che “Il mondo è tutto ciò che accade”. E se lo dice un logico, che si rifà a verità assolute e a questioni ontologiche, che la vita non è un fatto di verità assolute e questioni ontologiche, beh… possiamo anche fidarci. No? Il nostro baricentro, che sia emotivo oppure reale, è come noi: sempre in movimento. Ogni passo che facciamo necessità di uno squilibrio per essere portato a termine. Proprio come quando camminiamo (o danziamo) il movimento ci destabilizza. Essere “in movimento” forse significa, nei suoi duplici sensi, proprio questo. Dobbiamo smettere di ostinarci ad essere noi stessi, per essere i noi stessi di domani, di dopo (fra un'ora, un minuto o un secondo), ogni domani (ora…ecc ) che la vita ci presenta. Questo piccolo squilibrio, questa leggera tendenza al futuro, non ci impedisce di essere nel momento, nel qui ed ora. Eppure ci proietta, ci rende in movimento. Contrariamente al paradosso di Zenone sulla freccia, se fossimo sempre qui, non ci muoveremo affatto. E che Carmelo Bene piaccia o no, è ormai utile solo ai me del passato. O meglio, è utile come ricordo, come spinta e trampolino. Ma il fatto che qualcosa non ci piaccia, è sempre utile per spingerci a distanziarsi da essa. Non ho mai amato il concetto di “zona di confort”. Lo trovo banale e riduttivo; un’americanata senza appeal. Eppure ha qualcosa in comune con ciò che stiamo via via dicendo. Uscire dalla propria ombra (per usare parole già usati) potrebbe essere un analogo nostro di questo concetto. Quando si cammina, in effetti, verso il sole, si esce e si rientra ad ogni passo nella propria ombra. Eppure, se si riuscisse ad evitare proprio il concetto di zona di confort, ma essere confortevoli nel mutamento e non in un mutamento seguito da un assestamento confortevole, forse si troverebbe veramente una zona di comfort positiva. Essere a proprio agio nel cambiamento, è lo statuto primo della vita. O per dirla con parole di Nietzsche (riprese da Pindaro, poeta Greco): "Divieni te stesso!" "Divieni te stesso" non è il "sii te stesso" banale, delle frasi o dei luoghi comuni. E molto di più, e soprattutto, a differenza del secondo, è un buon augurio. A noi che abbiamo disimparato a farlo, a noi che siamo noi stessi e non viceversa, questo augurio ci serve. Riconciliarsi con la propria natura effimera e caduca, è qualcosa con cui dobbiamo scendere a patti. La nostra natura di mutanti, in perenne cambiamento e movimento, ci dice ora di smetterla con l'essere noi, e finalmente "diventarlo". Noi “non siamo noi”, ogni giorno, ora e minuto. E solo noi, sbagliando, rimaniamo ostinatamente convinti del contrario.
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iononquadro

Sono un appasionato di scrittura e di programmazione/hacking. E sono anche un malato psichiatrico. Questo blog è un luogo di sfogo di quello che sono, e costruzione di quello che sarò. Dai un'occhiata in giro, ti piacerà!

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